Gli astronauti statunitensi Sunita Williams e Barry Wilmore, dopo la loro lunga e imprevista permanenza nello spazio, sono rientrati sul nostro pianeta. Quali sono le conseguenze di una missione spaziale prolungata sulla loro salute?
Il ritorno e il motivo della permanenza
Alle 22:57 ora italiana del 18 marzo, come da programma, Sunita Williams, 59 anni, e Barry Wilmore, 62, sono tornati a casa. Sono atterrati sulle coste della Florida con la navicella Dragon di SpaceX, l’azienda aerospaziale di Elon Musk. Partiti il 5 giugno 2024, i due astronauti sarebbero dovuti rimanere sulla ISS (Stazione Spaziale Internazionale) solo una settimana. Invece, Williams e Wilmore sono stati costretti ad estendere la loro permanenza a causa di perdite di elio riscontrate nei propulsori della navicella durante il viaggio di andata. In totale sono rimasti nello spazio 286 giorni e hanno percorso quasi 200 milioni di chilometri.
Il loro rientro ha suscitato un grande interesse e molti interrogativi sugli effetti di una lunga permanenza nello spazio sul corpo umano, soprattutto perché i due astronauti non erano stati fisicamente e psicologicamente preparati per una prova di questo genere.
Le possibili conseguenze di una lunga permanenza nello spazio
Tutto ruota attorno al modo in cui il corpo umano risponde alla microgravità all’interno della ISS. Gli effetti finora conosciuti sono vari. Tra i più noti ricordiamo:
• “Baby feet” (piedi da bambino): Per l’assenza di gravità nello spazio, gli astronauti non hanno dovuto camminare, cosa che ha eliminato le sollecitazioni a cui vengono sottoposti i piedi dal peso del nostro corpo. Per questo non si sono create le condizioni affinché si accumuli il denso strato di pelle morta alla base dei piedi, che restano morbidi come i piedi di un bambino che non ha ancora imparato a camminare.
• Temporaneo cambio di altezza: È stato calcolato che durante una normale missione sulla ISS (di 6 mesi), gli astronauti hanno guadagnato da 3 a 5 centimetri extra. Questo succede perché senza le sollecitazioni del peso corporeo, i dischi intervertebrali della colonna tendono a espandersi (analogamente a quando si va a dormire, in cui i dischi si rigenerano e si espandono, dando l’impressione di essere più alti di qualche centimetro).
• Perdita ossea: Nell’ambiente di microgravità dello spazio, gli astronauti tendono a perdere in media 1-2% della loro densità ossea ogni mese. Questo avviene perché lo spazio è privo di gravità, quindi le ossa non si sentono più tenute a sostenere il corpo. Al ritorno sulla Terra, le ossa degli astronauti sono molto deboli e inclini alle fratture (mentre sono nello spazio, gli astronauti possono esercitarsi con speciali macchine per rallentare questa perdita ossea).
• Gli svenimenti al ritorno sulla Terra sono considerati effetti collaterali della cosiddetta sindrome da adattamento allo spazio, il processo sperimentato dagli astronauti quando si adattano all’assenza di peso (anche detta “mal di spazio”).
I tempi di recupero dipendono dalla persona e dalla sua esperienza. Si pensa che possano tornare in condizioni normali entro un mese con un intenso lavoro fisico. Meno noti sono gli effetti di un’esposizione prolungata a condizioni di stress estreme, come quelle sperimentate nello spazio per 9 mesi. I risultati sono ad oggi imprevedibili, ma lo studio sui cambiamenti nel funzionamento psicologico, potranno essere molto importanti per prepararsi a missioni molto lunghe come quelle che potrebbero portare l’uomo su Marte.
di Elda Russo
Classe II C Liceo Scientifico