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Ogni anno nel mese di marzo il The Ecoinomist pubblica l’indice del soffitto di vetro (GCI, glass ceiling index) che mette a confronto le condizioni di lavoro delle donne nei 29 paesi dell’OCSE. Dal rapporto stilato per il 2025 emerge chiaramente come la parità di genere nel mondo del lavoro sia ancora una sfida aperta. Alcuni Paesi hanno costruito un sistema che permette alle donne di crescere professionalmente senza dover scegliere tra carriera e famiglia. Altri, invece, faticano a eliminare barriere sociali e culturali che limitano le opportunità femminili.

Donne e lavoro: chi avanza e chi resta indietro

L’indice si basa su dieci indicatori, dalla partecipazione alla forza lavoro ai salari, dal congedo parentale alla rappresentanza politica.

La Svezia è al primo posto grazie alle politiche che sostengono la parità di genere e i genitori che lavorano. La classifica prosegue con un altro paese nordico, l’Islanda, che, grazie a politiche avanzate come il congedo parentale di 9 mesi retribuiti, con almeno 3 mesi riservati ai padri, ha permesso alle donne di rimanere nel mondo del lavoro senza dover rinunciare alla maternità. Un altro dato colpisce è quello relativo alla partecipazione delle donne alla politica: quasi la metà del Parlamento islandese è composto da donne, segno di un’integrazione che va oltre le statistiche.

Anche la Norvegia si distingue con 49 settimane di congedo parentale retribuito, una forte rappresentanza femminile nelle istituzioni e una cultura aziendale che valorizza la leadership femminile. Qui, il 40% dei manager pubblici è donna, un dato che dimostra come l’equilibrio tra i generi sia una priorità nazionale.

Il paese che ha invece registrato il miglioramento maggiore, salendo di ben otto posizioni, è la Nuova Zelanda che si piazza al quinto posto.

Corea del Sud e Turchia: il talento c’è, ma resta bloccato

All’estremo opposto della classifica troviamo la Turchia che occupa l’ultimo posto, e la Corea del Sud, al 28°. In quest’ultimo paese, che lo scorso anno occupava l’ultima posizione e ora è salito solo di un posto, il problema non è la mancanza di formazione: le donne si laureano con risultati eccellenti, ma una volta entrate nel mondo del lavoro trovano una cultura aziendale ostile, con orari rigidi e poche opportunità di avanzamento. Dopo la maternità, molte lasciano il posto di lavoro perché la società non offre alternative per conciliare carriera e famiglia.

Situazione simile in Turchia, dove la partecipazione femminile al mercato del lavoro è ancora bassa e le donne devono affrontare discriminazioni sia nel settore pubblico che privato. Le opportunità di carriera sono limitate, specialmente per chi proviene da contesti più tradizionali. Anche il Lussemburgo, nonostante la sua prosperità economica, mostra un ritardo significativo: solo il 22,2% dei ruoli dirigenziali è occupato da donne, segno che la ricchezza di un Paese non si traduce necessariamente in parità di genere.

Italia: il cambiamento è iniziato, ma serve più coraggio

Per trovare l’Italia bisogna andare alla sedicesima posizione, ma il nostro paese è comunque al di sopra del valore relativo alla media OCSE. L’Italia sta compiendo passi avanti, ma la strada è ancora lunga. La presenza femminile nei ruoli dirigenziali è in crescita, ma rimane inferiore rispetto agli standard europei. Il problema principale resta la conciliazione tra lavoro e famiglia: la carenza di asili nido, il divario salariale e la scarsa diffusione dello smart working, rendono ancora difficile per molte donne mantenere un impiego stabile dopo la maternità.

Focus sui dati

Dai dati raccolti emerge che nei paesi OCSE nonostante le donne si laureino in media più degli uomini ( 46% contro 36,9% ), la loro partecipazione alla forza lavoro rimane inferiore, infatti in media il 66% delle donne ha un’occupazione, contro l’81% degli uomini. Questo dato varia considerevolmente tra i 29 paesi, se in Svezia l’82% delle donne lavora, in Italia solo il 58%, con un gender gap nella partecipazione alla forza lavoro che ammonta al 18,1% (peggio di noi solo la Turchia).

In nessun paese OCSE lavorano più donne che uomini, anche se la Finlandia raggiunge quasi la parità. Se poi si guarda all’indicatore sulla percentuale di donne dirigenti, anche in questo caso l’Italia si trova nelle ultime posizioni, con il 28% di posizioni dirigenziali occupate dal genere femminile. Un dato in controtendenza è dei posti in Parlamento che è salito al 32,3%.

I Paesi nordici dimostrano che la parità di genere è possibile con politiche concrete e un impegno costante. Se si vuole davvero colmare il divario, servono investimenti in congedi parentali equi, orari di lavoro più flessibili e una cultura aziendale che valorizzi il talento femminile. Il cambiamento non è solo una questione di giustizia, ma anche di progresso economico e sociale.

Di Martilotta Vittoria

Classe VD Liceo Scientifico